Si può dipendere anche da un’idea di indipendenza.
Scrissi questa frase sul mio diario anni fa, poi inserita nella bio del profilo Instagram il giorno in cui inauguravo la rubrica indie, quella con cui mi sono fatta conoscere prima di diventare editor.
Il concetto alla base era: andare controcorrente per il solo gusto di farlo ti ingabbia.
Avevo trovato una guida di WikiHow in cui si insegnava a essere “indie” facendo tutto il contrario di ciò che fanno normalmente le persone. La trovavo superficiale e incoerente con ciò che rappresenta in realtà questa corrente: autenticità, sperimentazione, coraggio di andare sì fuori dagli schemi, ma solo se quegli schemi ci stanno stretti.
“Essere indie implica buttare al cesso tutte le regole e le limitazioni proprie delle etichette per farsi un’idea, un gusto personali e abbracciarli con spontaneità”, scrivevo nel primo post di quella rubrica. “Non cercare di essere originali a tutti i costi.”
Nel concetto di indipendenza c’è libertà. E c’è, di conseguenza, il lavoro autonomo, la possibilità di farsi da sé e costruire qualcosa da solə, qualcosa di diverso da ciò che si vede in giro (arte, progetti, iniziative). Darsi possibilità che non esistono ancora. Per me, è stato iniziare a lavorare prima che il mondo editoriale si accorgesse di me.
Per te che scrivi, essere indipendente potrebbe voler dire più cose:
pubblicare storie che l’editoria tradizionale non produce, perché poco commerciali, ma che il tuo pubblico apprezza;
scegliere di rifiutare offerte di case editrici prestigiose per portare avanti la tua personale idea di editoria e avere il pieno controllo sulla produzione;
affidarti a una CE con l’intento di liberarti di molti degli oneri che portare avanti un progetto autonomo comporta. Inserire la tua carriera all’interno di un quadro più ampio, che ti permetta di dedicare del tempo di qualità ad altre sfere della tua vita, per te essenziali, sfuggendo alla logica del lavoro a tempo pieno e dell’iper-produttività, non adatti a tuttə.
Quest’ultima parte la sento molto mia.
Dopo l’entusiasmo e il senso di onnipotenza iniziali, nella mia vita da freelancer è subentrata un’amara constatazione: farmi da me mi obbligava effettivamente a fare tutto da me. Cercare costantemente progetti su cui lavorare; promuovere la mia attività online; curare i rapporti con gli utenti interessati, non tutti destinati a convertirsi in clienti; gestire la parte burocratica; infine, lavorare.
Svolgevo insieme il ruolo di PR, social media manager, customer care e professionista. Una meraviglia. Ti lascio indovinare dopo quanto ho raggiunto il burnout.
Il punto non era nemmeno la stanchezza. Con un po’ di organizzazione sarei riuscita, come poi è avvenuto, a capire come tornare a dormire 8 ore a notte. Ma l’incompatibilità fra i miei bisogni e la realtà che mi ero costruita mi distruggeva. Dov’era finito il tempo per leggere, per scrivere, per viaggiare? Dov’erano i miei weekend con gli amici, le serate con mio fratello? Dov’era il tempo per lo studio?
A 18 anni mi ero iscritta a Filosofia perché non mi importava imparare un mestiere ed entrare subito nella grande macina. Dal giorno del diploma prima e della laurea poi non ho mai smesso di studiare. Tranne in quel periodo. In quel periodo era impossibile. Impossibile avere il cervello abbastanza fresco dopo ore di lavoro ininterrotto (altro che le 8 standard, iniziavo la mattina e finivo dopo cena).
Ma chi mi stava obbligando a sbattermi così tanto? La risposta mi fissava dallo specchio. Ero diventata schiava della mia presunzione. Dell’idea di indipendenza su cui mi ero fossilizzata, convinta che non ci fosse altro modo. Lo sbrocco, come si dice qui a Roma, era dietro l’angolo.
Ci si può tarpare le ali con l’idea di libertà che ci siamo fatti prima di provare effettivamente a vivere secondo quel principio? A me è successo. Non ero libera, in quei giorni. Almeno, non nella maniera in cui concepisco ora la libertà e non in maniera compatibile con la mia salute e la mia serenità mentale. Mi ero creata una gabbia, e l’unico modo per uscirne è stato rinunciare a essere autosufficiente in tutto.
Sperimentazioni
Per un po’ ho messo da parte l’idea di fare la libera professionista e ho provato la vita da dipendente. Orari fissi, serate libere, sabati e domeniche alla luce del sole. Non ero più padrona del mio lavoro (non sceglievo con chi collaborare, a quali romanzi dedicarmi, quali mansioni svolgere), ma ero di nuovo padrona del mio tempo.
Potevo fare tutto quello che volevo e che negli ultimi 24 mesi avevo messo da parte. Ho riallacciato rapporti che stavo perdendo, mi sono finalmente presa cura di me.
Dire che non mi sia servito fare la gavetta da sola prima di essere notata da una casa editrice sarebbe una bugia, per cui non rinnego quel primo periodo in solitaria e la sua utilità nel quadro generale, ma sono grata di averlo limitato allo stretto necessario.
L’esperienza si è conclusa con un ritorno alla libera professione nel giro di un anno. Un passo indietro? Non proprio.
Indipendenza 2.0
La maniera in cui ho impostato l’attività e la mia routine di lavoro dopo aver sperimentato il posto fisso è cambiata drasticamente. Per prima cosa, ho messo al centro le mie esigenze e non più il “come fanno tutti”.
Fin da dubito ho stretto una collaborazione a lungo termine, per avere delle entrate sicure. Rivolevo la libertà d’azione, ma non la solitudine e tantomeno l’incertezza.
Ho sfoltito e ripensato le attività che servivano a promuovere il mio lavoro. Ho trovato il modo, lo spazio e il ritmo giusti per me. Delle regole del marketing, ormai interiorizzate, ho preso il necessario, adattandolo.
Ho abbracciato la lentezza al posto della fretta. Dedicato più attenzione a pochi progetti, trovato il tempo di nutrire il mio spirito al di fuori del lavoro e riversare questa nuova energia nelle collaborazioni.
Ho pagato delle professioniste affinché svolgessero dei compiti e si occupassero di alcuni aspetti della mia comunicazione al posto mio: sito web, grafiche, copywriting della selling page. Tutta roba che prima facevo da sola (spesso male).
Essere indie oggi per me significa fare le cose a modo mio, ma senza cadere nella pretesa narcisistica di essere autonoma e perfetta in tutto, né seguire passo passo le strategie di altri colleghi.
Te ne ho voluto parlare perché penso sia importante, in un’epoca in cui gli strumenti per farsi da sé sono alla portata di tuttə noi che viviamo nella privilegiata condizione di poterne usufruire, valutare cosa perdiamo in termini di benessere, relazioni e crescita personale quando ci intestardiamo a incanalare tutte le nostre energie in una cosa soltanto, perché dobbiamo farla da solə, trascurando il resto.
Se fossi un’autrice, mi prenderei un momento per riflettere sulle mie ambizioni e scriverei: “cose di cui ho bisogno per essere felice nella vita” e “cose di cui ho bisogno per sostenere la mia carriera da scrittrice”. Poi scriverei, cancellerei e traccerei frecce da un lato all’altro del foglio fino a delineare la mia personale idea di successo.
Si fa presto a imparare i trucchi del marketing e le tecniche per impaginare, correggere bozze, creare Ads su Meta. Potenzialmente, con una buona connessione, un pc e del denaro da investire in formazione, quasi tutto è possibile. Ma la cosa più importante è sapere come vuoi vivere, giorno per giorno, da qui in avanti.
Se vuoi, fammi sapere cosa significa, per te, essere unə autorə indie.
A presto, spiritello.
Buona scrittura 🪶
Valentina
Grazie davvero per le tue riflessioni. Io in questo momento sono in una situazione in cui comincia a suonarmi in testa il campanello di burnout: sto facendo per otto ore da dipendente un lavoro che detesto ma che è la mia unica entrata, e la sera studio per provare a fare un test che mi permetterebbe di entrare in un master in editoria, e lavoro (ovviamente senza nessuna retribuzione) al mio blog e la mia newsletter qui su substack. Quest'ultima cosa la faccio perché è la mia valvola di sfogo dal lavoro del cavolo che faccio, e perché spero un giorno di farmi notare dalle case editrici. E lo studio per il test, beh, lo faccio perché spesso mi è stato detto da persone del settore che senza un master entrare nel mondo editoriale da sconosciuti è praticamente impossibile. E lavorare in editoria è un sogno che ho da bambina, ma non sono mai riuscita a realizzarlo. Ho 37 anni e mi sono detta "ora o mai più". Alla mia salute mentale neanche ci penso, perché devo fare, fare, fare. Stare dietro alle tabelle di marcia che mi sono fatta, sfruttare ogni tempo libero che mi rimane dal lavoro (weekend, festivi e sere ciao ciao). Non ci penso ma ogni tanto mi prendono delle gran crisi di pianto e ansia. Sto mettendo tutto lì, e se non ce la faccio? Non so come essere indie come dici tu, non ho trovato ancora il mio modo. Tu che cosa mi consiglieresti? Scusami per il papiro, la tua newsletter mi ha fatto pensare tanto.